di Beatrice Loddo
Ph. Gianmaria Zanotti

Luca Zaccheroni al Maré

Luca Zaccheroni ha rivoluzionato l’offerta della ristorazione e della spiaggia di Cesenatico con il Maré: dieci anni dopo, fra nuove aperture e tanti progetti, si conferma imprenditore di successo.

Volto dell’imprenditoria sulla spiaggia di Cesenatico, Luca Zaccheroni è proiettato nel futuro e non vuole saperne di fermarsi. Classe 1979, nato a Forlì – suo padre è il famoso allenatore di calcio Alberto “Zac” Zaccheroni – il piccolo Luca è stato subito portato a Cesenatico, dove i suoi genitori avevano un’attività alberghiera, e ha vissuto sin da subito a contatto con i turisti, assorbendo l’atmosfera vacanziera e di accoglienza che si respirava nelle estati di spiaggia e bagnanti, ma anche di divertimento, non appena l’età glielo ha consentito.

“Mi sono diplomato a ragioneria, e non ho mai studiato all’università: a dire il vero, non avevo tanta voglia di studiare”, confessa ridendo. “Oggi invece mi rendo conto di quanto mi piaccia approfondire gli argomenti che mi interessano.” E ne ha moltissimi, perché è sempre alla ricerca di nuovi stimoli ed esperienze. Per me ogni nuova apertura è un mezzo per imparare qualcosa di nuovo”, rivela con entusiasmo.

Dopo il diploma inizia subito a lavorare, attraverso quella che definisce una “fase di passaggio” in alcuni locali anche notturni della Riviera, finché non arriva la prima grande avventura in cui inizia a coniugare all’amore per la spiaggia e il divertimento la sua personale sensibilità imprenditoriale: classico stabilimento balneare di giorno, il Batija di notte si trasformava in un locale notturno sulla spiaggia, con le piste da ballo allestite direttamente sulla sabbia.

“Considerando che era solo il 2003 si trattava di qualcosa di davvero innovativo, non solo per la location, ma anche perché era a ingresso libero”, nota Zaccheroni con orgoglio. “Non si trattava di una vera e propria discoteca, e forse era anche per questo che piaceva tanto. È stata grazie all’esperienza del Batija, durata fino al 2006, che ho capito che sulla spiaggia tutto può funzionare meglio, e di più.”

Trascorre poi del tempo, che viene dedicato alla ricerca del posto giusto per il suo nuovo progetto: “Non uno stabilimento balneare che fa ristorazione, ma un ristorante con gli ombrelloni”, specifica Zaccheroni, con il piglio deciso che sembra contraddistinguerlo. È il 2008 quando rileva la concessione per i due bagni proprio accanto al molo. “Avevamo già in mente cosa fare, quindi siamo partiti e abbiamo proceduto con la demolizione e ricostruzione del locale, che è stato inaugurato nel 2010. E proprio quest’anno, in pieno lockdown, il Maré ha compiuto 10 anni. Purtroppo non abbiamo potuto festeggiare come avremmo voluto, ma stiamo comunque ricominciando a lavorare e non possiamo lamentarci.”

“La destagionalizzazione per me era un aspetto fondamentale,” afferma. “Con la vista fortunata di cui godiamo, poi, i colori e ele caratteristiche delle stagioni sono ancora più belli.”

Anche in questo caso, la novità era tale da lasciare perplessità. “È naturale che quando si fanno progetti grandi in paesi piccoli ci sia un po’ di sospetto. La mia preoccupazione era proprio che il Maré non fosse capito. Non volevo puntare al turismo stagionale, ma alla clientela e al turismo locale: il mare offre grandi possibilità in tutte le stagioni, non solo in estate. La destagionalizzazione per me era un aspetto fondamentale: con la vista fortunata di cui godiamo, poi, i colori e le caratteristiche delle stagioni sono ancora più belli.” Un’impresa che, fortunatamente, sembra essere andata a buon fine: “È stato un po’ come il Verdi a Cesena: prima qualcosa da guardare con sospetto, e poi, alla fine, punto di riferimento per la città. Devo ammettere che per noi lo scoglio è stato superato sin da subito, nonostante si trattasse di un locale promiscuo che offre colazione, pranzo, aperitivo e cena.”

Un aspetto fondamentale per arrivare a questa comprensione è stato l’arredamento: “Ho la fortuna di avere mia zia, Franca Fiorini, che è interior designer: non solo i miei locali, ma anche la mia casa e quella dei miei sono state concepite con il suo aiuto prezioso. Siamo in grande sintonia, abbiamo gusti estetici molto affini e con lei posso passare le serate a parlare e progettare fino a notte fonda. Per il Maré volevamo un arredo caldo, accogliente, che non intimidisse e con tanto verde. Un posto dove poter staccare la testa.” Il più bel complimento? “Qualcuno mi ha detto che gli sembrava di essere in vacanza. Ci hanno visto di tutto: la Grecia, la Provenza, la California, i Caraibi…”

Diversa la scelta per QuintoQuarto, il locale aperto sul Porto Canale nel 2016: “Non volevamo fare il verso al Maré, per cui abbiamo scelto un arredo che richiamasse gli anni ’50 e ’60, con una gestione più snella e meno variabili. Volevamo sdoganare una piadina seduti comodamente, con abbinamenti nuovi”, racconta, premurandosi però di specificare che non si tratta di gourmet o abbinamenti complicati, ma di un’integrazione all’offerta tradizionale, a cui, vista la location e la storia del Maré, era d’obbligo aggiungere una componente di pesce.

In entrambi i casi, comunque, la ricerca della bellezza per quanto riguarda la location e la presentazione dei piatti è un comune denominatore: “Una volta per scoprire nuovi modi di impiattamento e di arredamento dovevi viaggiare, andare a New York, ad Amsterdam e vedere con i tuoi occhi. Oggi, grazie anche ai social network, basta aprire Instagram per scoprire quali sono le nuove tendenze e per prendere ispirazione. Anche grazie al cambio generazionale nella gestione dei locali questa ricerca è sempre più accentuata. Il pericolo però è che abbia il sopravvento sulla personalità.”

“Mi piacerebbe portare in Italia un ristorante di sushi come quelli di Tokio, con lo chef che ti mostra ogni passaggio della preparazione e ti racconta la storia dell’ingrediente. Sarebbe possibile farlo anche all’italiana.”

Alcuni cambiamenti, di questi tempi, purtroppo non sono frutto di un approccio estetico: fra le necessarie nuove regole che caratterizzano questo periodo, tuttavia, qualcuna sembra venuta per restare: “Stiamo pensando di mantenere anche in futuro l’accoglienza fuori dal locale. E poi stiamo reimpostando dietro le quinte tutto il modo di approcciare il rapporto col dipendente, e vogliamo raccogliere sempre più dati e strumenti per verificare gli aspetti economici.”

Nel frattempo, c’è ancora spazio per realizzare qualcosa di nuovo – “Da molto tempo pensavo di aprire un Oyster Bar. Il meglio sarebbe stato una capanna affacciata sul mare. Ma per il momento ci accontentiamo della terrazza del Maré!” – ma anche per continuare a sognare e fare progetti: “Se potessi scegliere una città in cui aprire un locale, sarebbe Tokyo. Mio padre Alberto ha lavorato lì per quattro anni come allenatore della nazionale di calcio giapponese, sono andato a trovarlo molte volte e così ho sviluppato anche un legame affettivo con la città e con molte persone che oggi sono amici oltre che colleghi del settore. Mi affascinano soprattutto gli altissimi standard di qualità. Ma mi piacerebbe anche portare in Italia un ristorante di sushi come quelli che ci sono là, con il bancone che offre spazio a sei persone al massimo, e lo chef che ti mostra ogni passaggio della preparazione e ti racconta la storia di quell’ingrediente. Sarebbe possibile anche farlo all’italiana: abbiamo dei prodotti meravigliosi che meriterebbero questo tipo di narrazione. Talvolta si tende a mangiare per sfamarsi; questa modalità, invece, permette di apprezzare in modo diverso ogni singolo boccone, esaltandone la materia prima.”

Del resto il lockdown ha solo rallentato i progetti di Zaccheroni per il futuro. “Proprio a inizio febbraio ho completato l’acquisto di un locale sui Navigli a Milano: voglio misurarmi con un modo di pensare, lavorare e rilassarsi nuovi. Milano è stata la media fra aprire un altro locale in Romagna e aprirne uno all’estero, e credo che sarà un’ottima occasione per imparare ancora di più. Lì anche il peso della comunicazione e del delivery sono molto diversi rispetto a qui. Il locale avrebbe dovuto essere una replica evoluta di QuintoQuarto e aprire quest’estate, ma per ora è tutto fermo ed è un bene: non solo non si sa come si evolverà Milano dopo il lockdown, ma questo tempo di pausa obbligata è stato utile anche per ricalibrare il tiro. Si è trattato di un disastro, certo, ma nel mio caso è arrivata una visione più lucida, introspettiva. Mi sono reso conto di quanto sia importante, oggi, fare qualcosa che abbia senso anche domani.”

Articolo pubblicato su Forlì-Cesena IN Magazine 02/2020

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